La pratica dell’alpeggio ha radici molto antiche nelle tradizioni contadine della cultura alpina. Fino alla prima metà del secolo, i pascoli del fondovalle non erano in quantità sufficiente per alimentare i capi di bestiame allevati nelle stalle familiari. Con l’arrivo dell’estate, nel mese di giugno, le vacche lattifere adulte, le manze (tra 1 e 3 anni) e i vitelli (fino ad 1 anno), venivano quindi spostati dalle buie stalle dei villaggi vallivi, ai ricchi pascoli della montagna. 

In alcuni casi, il bestiame, veniva portato ai primi di maggio ai pascoli di metà montagna, (pre-alpeggio), dove sostava fino a metà giugno, dopodiché risaliva ai pascoli di alta montagna. A metà agosto iniziava il cammino a ritroso che terminava a settembre, con il ritorno della mandria al paese, accolto da una grande festa. In quota, gli animali, potevano pascolare liberamente, alla ricerca delle migliori fonti di nutrimento, solo le vacche da latte venivano radunate nello stallone nel tardo pomeriggio, per la mungitura serale e mattutina. Annesso allo stallone c’era l’edificio principale, detto casèra, dove viveva il personale della malga e dove veniva lavorato il latte per ricavarne burro, formaggio e ricotta. 

Ancora oggi l’alpeggio si effettua in malghe di proprietà generalmente pubblica, affidate dalla comunità a persone che hanno l’incarico di gestirle (malgari), mentre i privati possessori del bestiame (malgani) rimangono in paese per lavorare i campi e falciare i prati per approvvigionarsi di fieno per l’inverno. Antiche consuetudini regolano i rapporti fra malgari e malgani: durante la stagione dell’alpeggio i malgari diventano i veri possessori del bestiame e ai malgani spetta solo una parte della produzione, sotto forma di burro e formaggio. 

La tradizione dei caseifici in quota è ormai quasi scomparsa. Il latte viene trasportato in valle con furgoni o lattodotti e conferito ai caseifici di fondovalle, che operano la trasformazione in migliori condizioni igieniche e tecnologiche. Dalle 110 malghe monticate nel Trentino negli anni ‘60 si è ora passati a solo 40, ma la consuetudine dell’alpeggio ha mantenuto un significato nell’economia alpina: le tenere erbe estive, il movimento e l’aria di montagna hanno effetto favorevole, non tanto sulla quantità, ma sulla qualità della produzione di latte e sull’ accrescimento delle manze. 

L’incentivazione di queste attività trova riscontri positivi sia sull’ambiente sia sull’economia ed è compatibile con il sistema Parco e i suoi obiettivi di protezione.