Dove patria e ardimento sono scritti col sangue.
Si è spesso tentati di considerare il Monte Patèrno come un residuo di montagna, un nucleo di rocce piccole e prive di storia. Senza dubbio è un errore, una deformazione mentale che la potenza verticale o strapiombante delle vicine Tre Cime di Lavarédo aiutano ad ingigantire. In realtà il Paterno, con i sui 2744 m di altitudine, non è proprio una montagnola di poco conto. Se poi si guarda con attenzione la lunga schiena seghettata, irta di piccole e graziose guglie ardite, ci si renderà conto di avere di fronte una donzella di rango e dal carattere focoso, più che una servetta accondiscendente. Non solo per le caratteristiche morfologiche, ma soprattutto per quelle che l’hanno vista «protagonista» in numerose ed epiche giornate della Grande Guerra.
La sua bella forma ad y rovesciata, vede l’asta settentrionale appoggiarsi ai Laghi dei Piani ed al Rifugio Tre Cime di Lavaredo, mentre una delle due «gambe» della y va a lambire il Laghetto di Lavaredo e l’omonimo rifugio e l’altra s’incunea nella breve piana che vede nel Lago di Cengia un magico, dimenticato, solitario specchio lucente.
La Grande Guerra, dunque. A questa è legata, principalmente, la notorietà del Monte Patèrno. E al leggendario scontro mortale fra la grande guida alpina di Sesto Sepp Innerkofler, e lo sconosciuto alpino De Luca. Un vero duello di aquile. Innerkofler, salito nella notte per la «sua» via della cresta nord nord ovest nel tentativo di sorprendere le sentinelle italiane, viene colpito dal De Luca. Precipita nel solco tormentato, lacerato da mille scaglie rocciose del «camino Oppel» e muore.
La sua fama aveva varcato i confini degli stati e dell’odio al punto che gli stessi nemici, gli italiani, tentarono il recupero del corpo calandosi in piena notte per evitare i colpi dell’artiglieria austriaca. Sepp venne tumulato sulla cima del Patèrno, fulcro storico e sublime, degnamente inserito nell’empireo delle Dolomiti. Una tomba degna di un grande dell’alpinismo. Il Paterno non offre solo lo splendido periplo di seguito descritto. Il suo interno è percorso da un intricato sistema di gallerie di guerra che collega i dintorni della Salsiccia di Francoforte (strana, piccola torre rocciosa che svetta nelle immediate vicinanze del Rifugio Tre Cime) al Ciadin del Passaporto e alla omonima forcelletta. Attualmente la parte superiore di questo miracolo sotterraneo non è percorribile perché crollato sotto il peso degli anni e dei fremiti violenti della montagna, ma buona parte delle gallerie sono visitabili e sono state riaperte «al pubblico» già negli anni 1974-75 (percorribili con torcia elettrica).
Se il Comando austriaco avesse ascoltato le suppliche di Sepp Innerkofler (che aveva capito l’importanza strategica del Patèrno e lo voleva presidiato), gli italiani mai sarebbero riusciti ad impossessarsi del monte e a fortificarlo con postazioni, gallerie, camminamenti, trincee, ricoveri per le truppe e feritoie ovunque, incise nelle rocce e dominanti gli avamposti austriaci.
L’escursione, dunque, oltre che offrire scorci di grande bellezza su un paesaggio fra i più decantati delle Dolomiti, può avere un movente storico. O può segnare un momento di riflessione sugli eventi bellici del passato. Terrificanti e gloriosi per vinti e vincitori. Sostanzialmente tutti «vinti», comunque, perché le guerre, checché se ne dica, non fanno mai camminare a testa alta. Lo faremo noi, ma solo per ammirare lo scenario fiabesco di cime, piccole e grandi, che si elevano solenni dal leggendario e nobile acrocoro dolomitico di Lavaredo.
Italo Zandonella Callegher